Un cd con la musica delle statue stele per entrare nel mistero

Una colonna sonora per promuovere il museo delle statue stele del Piagnaro. L’idea è venuta al produttore musicale Eddy Mattei che ha realizzato il Cd « Il suono della pietra«: 12 brani che raccontano attraverso la musica elettronica d’ambiente la suggestione dei menhir sottolineando le emozioni fuggite dalla bolla del tempo e arrivate sino ai nostri giorni. La vibrazione di antiche storie dal neolitico all’età del ferro attraverso l’incanto scenografico frutto del progetto di riallestimento firmato dall’architetto Guido Canali è veicolato dal magnetismo della musica.

« E’ un’idea che avevo da anni in testa – spiega il produttore -, realizzare un disco con musica d’ambiente elettroacustica per insonorizzare eventualmente il museo e come gadget aggiunto a quelli in vendita al castello. Interamente dedicato al fascino e alle tmosfere delle statue stele misteriose e indecifrabili. Ho pensato ad una musica come veicolo per entrare in quel mondo con un percorso a ritroso. Così come la fantascienza visualizza ipoteticamente il futuro, ma tornando nella storia. E’ una chiave per entrare nell’atmosfera del popolo dei capostipiti in modo non razionale. Si tratta fondamentalmente di musica elettronica anche se ci sono degli elementi corali, vocalizzi. Io stesso ho composto i brani con qualche collaborazione. La musica è semplicemente un veicolo per cercare di entrare dentro al mistero delle stele. Suggestioni legate al periodo arcaico. Ho usato delle sonorità nordiche, riminiscenze di canti vichinghi e celtici. Con la musica si spazia in territori indefiniti non ci sono sonorità etniche perché in quell’epoca gli strumenti non esistevano».

Ogni titolo di brano richiama le stele: Leodegar, Marter dea, Lepensky Vir, sono alcuni dei nomi. « Ma senza alcuna velleità di interpretare realmente i significati delle statue – conclude Mattei -. Spero che possa essere diffusa al museo questa base musicale per i visitatori perché secondo me aumenta ancora di più il fascino dell’esposizione». Tre mesi di lavoro in studio. Un impegno creativo che può dare un’idea immaginaria di come fosse l’epoca degli uomini che produssero i menhir.